Tre libri
LA PRAGMATICA DELLA COMUNICAZIONE UMANA
RACCONTARSI
LA CHIAVE A STELLA
Tra loro si sostengono e completano, preziose piste di ricerca, di confronto e conforto. Per ciascuno presenterò alcuni personali ricordi oltre ad accenni teorici, metodologici e valoriali che me li rendono particolarmente vicini e cari.
Molti altri testi, qui esclusi anche se preziosi, che contribuiscono a definire il mio stile di pensiero e professionale, li potrete ritrovare citati nelle mie pubblicazioni e relative bibliografie di riferimento.
LA PRAGMATICA DELLA COMUNICAZIONE UMANA: il libro maestro delle regole e delle invisibili teorie
È un libro tra i più conosciuti e citati tra chi si occupa di relazioni interpersonali. Autori sono Paul Watzlawick, Janet Helmick Beavin, Don D. Jackson del “Mental Research Institute” di Palo Alto in California. È nato nel 1967, tradotto per noi nel 1971.
Ma allora, se è così noto, perché ne parlo?
Perché qui parlo di tre libri che considero maestri, e questo, per me lo è.
Me lo ha consigliato una ventina di anni fa Alessandra Stella: questo è il primo libro di cui mi ha parlato.
Ricordo molto bene quando l’ho avuto tra le mani, splendente copertina arancio, Astrolabio edizioni.
Posso dire grazie, oltre a chi me lo ha consigliato, anche al professor Stefano Zamagni, che alcuni anni prima consigliava a noi, allora suoi allievi, come approcciarci ai testi teorici. Ricordo che ci ha detto qualche cosa del tipo: “Voi leggete libri, anche se non capite qualche cosa, qualche pagina, andate avanti, non fermatevi , non scoraggiatevi: proseguite nella lettura, e troverete pagine, capitoli più chiari per voi: sono quelli che contano, che più facilmente di altri si “intrecciano” con le vostre conoscenze, arricchendole di nuovi significati”. Se non avessi incontrato il professor Zamagni, avrei smesso di leggere questo libro, di cui proprio l’inizio, per me risultò di difficile lettura per la relazione che gli autori propongono tra comunicazione, matematica, cibernetica e neurofisiologia. Roba da chiudere il libro per sempre. Invece no, perché Zamagni… forte dei suoi incoraggiamenti ho proseguito la lettura, e superata la prima parte mi si sono aperti scenari comprensibili, che rinforzano quello che Alessandra già mi aveva fatto intuire, e che qui potevo approfondire. Fondamentali per decifrare e districarmi nel mondo relazionale mi sono apparsi i cinque assiomi, l’interazione come sistema, e ancora i riferimenti all’uso del paradosso, che anni dopo mi avrebbe portata a conoscere e riconoscere Giorgio Nardone come maestro di comunicazione strategica.
È un libro-base, perché non dà nulla per scontato, e dunque ancor prima degli assiomi presenta e definisce alcuni concetti fondamentali della comunicazione, a partire da termini quali sintassi, semantica e pragmatica, che altri testi danno come noti. È importante imparare a non dare per scontato. Intendo dire che è utile –almeno ogni tanto – soffermarsi sui significati dei termini in modo da costruire poi discorsi che “stanno in piedi”, che hanno fondamenta solide e riconoscibili.
Ma questo libro non mi ha insegnato solo questo.
Più avanti attraverso l’analisi della comunicazione di casi reali e lo “smontaggio” del dramma Chi ha paura di Virginia Woolf? di E. Albee, gli autori riprendono e ripropongono gli elementi teorici proposti nella prima parte del libro, amplificandone e arricchendone le possibili – mai uniche – letture.
Questa modalità di sostenere le teorie in pratica, definisce il mio stile in aula: analisi di casi, storie, film…
A seconda degli schemi di lettura, si possono percepire differenti punti di vista ed attribuire diversi significati a medesimi azioni e fatti. Come è scritto in La pragmatica della comunicazione a proposito delle interpretazioni: “… si può interpretare la commedia (come peraltro è stato fatto) in molti altri modi. Se noi concentriamo l’attenzione su un’unica interpretazione, questo non significa che rifiutiamo le altre. Noi intendiamo soltanto illustrare la nostra tesi, e non analizzare in modo esauriente la commedia in quanto unità indipendente” (p.144 ediz. 1971).
A quali significati dare maggior peso? A quelli che in questo momento ci servono di più, che ci aiutano di più nella comprensione di qualche cosa fino ad ora rimasto nascosto. Portare in luce nuove prospettive grazie a teorie e modelli ci è certo di aiuto anche nella nostra personale ricerca nell’ attribuire senso ai fatti e alle relazioni altrimenti di difficile comprensione e accettazione. E questo non per speculazioni teoriche, ma per mettere la teoria al servizio della comprensione della pratica quotidiana, nella ricerca di un miglior vivere personale, professionale ed organizzativo. Per concludere con una frase di Kurt Lewin: “Nulla è più pratico di una buona teoria”.
RACCONTARSI, L’autobiografia come cura di sé: il libro maestro della riflessione in pratica
Allora comincio da me: con l’autobiografia, mi racconto e mi ascolto, poi, forse – non per forza e non sempre – mi propongo agli altri. Magari – anzi e soprattutto, – scrivendo di me.
Nel mentre ci rappresentiamo e costruiamo, ci riprendiamo tra le mani. Ci prendiamo appunto in carico (in cura)e ci assumiamo la responsabilità di tutto ciò che siamo stati e abbiamo fatto… (pag 12 ediz.2001)
Osare ripensarsi, osare prendere del tempo per se per ritrovarsi. Elaborare connessioni tra le righe del proprio passato per comprendere meglio il presente e andare avanti nella vita assumendosene responsabilità. Mi pare importante.
Anche nel lavoro, interrogarsi, fare il punto, pensare al futuro consapevoli che il nostro stile professionale risente del nostro personale percorso, o forse meglio, del ricordo che abbiamo della nostra vita.
E mettiamoli nero su bianco, questi frammenti, parziali ricordi. Diamoci la possibilità di soffermarci a contemplare ciascuno la propria vita. Anche solo per qualche ora, quanto basta per “far partire” un pensiero: poi, va da sé. Io ho iniziato così, poi ho proseguito a volte scrivendo, altre camminando, altre anche sognando. La memoria di fatti, sentimenti ed emozioni riaffiora, prende senso, assume la dignità di esser ricordata.
E a chi teme un eccesso di intimismo e autoreferenzialità del metodo autobiografico, Demetrio risponde:
Un progetto educativo che metta al centro l’autoeducazione di ciascuno, basata sull’ imparare a riflettere innanzitutto con e su se stessi, a promuovere i propri talenti, ad acquisire al più presto possibile un’indipendenza intellettuale e creativa, è inevitabilmente un progetto che facilita, e non inibisce affatto, le relazioni umane(pag 167, ediz 2001)
Sono questi i motivi che fanno di “Raccontarsi” un mio libro maestro: la sua originale proposta di auto emancipazione attraverso la rilettura e la scrittura di sé. Anche in solitudine.
Io credo veramente che un libro, un corso, una consulenza possano essere di stimolo, ma poi dobbiamo anche impegnarci in prima persona nello svilupparne ciò che ci pare utile per noi. E questo testo accompagna in un’analisi riflessiva, da autodidatta, a partire dai ricordi della propria vita, conferendole in tal modo uno spazio di autentico ascolto da parte di se stessi prima ancora che da altri. E’ un lavoro di ripulitura e autostima. Si può fare.
Ma come cominciare? In “Raccontarsi” io ho trovato una guida attenta e minuziosa verso la scoperta della mia autobiografia, che per forza di cose non potrà mai esaurirsi, proprio perché i ricordi si influenzano, confondono, creano significati e costruiscono “realtà in movimento”, in vista di un divenire consapevole.
Duccio Demetrio propone di addentrarsi nella propria storia a partire da diversi punti di vista, esaminando i differenti aspetti del racconto di sé,che può svilupparsi considerando le fasi temporali della vita (infanzia, adolescenza, e oltre, fino alle fasi più attuali, senza escludere in ogni momento “asole” di riflessioni che pescano nel proprio passato, ma anche nel futuro), centrarsi su specifiche tematiche (persone, viaggi, eventi, amori, lavoro…) o ancora abbracciare riflessioni esistenziali attraverso modalità di stili tra loro diversi o intrecciati: da quello poetico metaforico a quello aneddotico, scarno, tipico della cronaca, oppure filosofico, o altri ancora.
Anche lo stile che adotto parla di me: se so vedere più possibilità so cogliere la complessità, e se scegliere, significa che sono responsabile. È importante, questo, no?
Insomma, posso dirlo, e questo è il momento: l’impostazione del mio sito, ed in particolare l’aver voluto raccontare dei miei maestri, come pure i diversi rimandi ai miei ricordi, la scelta di uno stile discorsivo per illustrare il mio lavoro … tutto parla di me.
E questo libro, oltre al suo autore, Duccio Demetrio che alla Libera Università dell’Autobiografia ho avuto il piacere di conoscere prima come docente poi come caro amico, è stato il mio primo passo verso una certa autoconsapevolezza autobiografica.
La chiave a stella: il libro maestro del ben lavorare
Gli ho voluto subito bene con gratitudine, a questo libro, tanto da considerarlo un maestro. A volte riprendo in mano La chiave a stella, e sfogliandone le pagine ritrovo “le mie parole”, ossia quello che vorrei saper dire parlando delle relazioni e dell’organizzazione del lavoro: profili, stili professionali, culture, aneddoti… insomma, “Lui” è il “mio” libro sul lavoro.
Come ci sono arrivata a questo prezioso testo? Merito di Dante Bellamio, che, prendendo spunto da questo libro, qualche anno fa ha dato vita a un seminario che ho seguito con grandissimo interesse presso la Libera Università dell’autobiografia.
Scorrendo la narrazione è evidente come la vita professionale del protagonista, si intrecci sempre in modo stretto con quella personale in una scrittura a volte ironica, altre più malinconica. In questo libro l’autore esprime con stile leggero la propria concezione del lavoro attraverso i racconti di Faussone, operaio specializzato che gira il mondo per lavoro inserendosi di volta in volta con cautela e arguzia in diversi ambiti lavorativi connotati da stili relazionali e culture organizzative molto diverse tra loro. Prendendo spunto dalle narrazioni del protagonista, Levi propone alcune note autobiografiche e proprie riflessioni esistenziali sul tema del lavoro.
Così, Primo Levi scrive:
“Se si escludono istanti prodigiosi e singoli che il destino ci può dare, l’amare il proprio lavoro (che purtroppo è privilegio di pochi) costituisce la migliore approssimazione concreta alla felicità sulla terra…
e più sotto prosegue:
“si può e si deve combattere perché il frutto del lavoro rimanga nelle mani di chi lo fa, e perché il lavoro stesso non sia una pena: ma l’ amore o l’ odio per l’ opera sono un dato interno, originario, che dipende molto dalla storia dell’ individuo…” (pag.81 ediz. 2001)
e ancora, più avanti:
“il termine “Libertà” ha notoriamente molti sensi, ma forse il tipo di libertà più accessibile, più goduto soggettivamente, e più utile al consorzio umano, consiste nell’essere competenti nel proprio lavoro, e quindi nel provare piacere a svolgerlo” (pag. 145 ediz. 2001)
Questi concetti sono proprio l’essenza del mio pensiero, e a ben guardare stanno alla base della mia scelta di svolgere il lavoro di consulente e formatrice. Ma questo l’ho capito così bene solo quando ho letto queste parole in questo gioiello di libro, e le ho viste lì, ordinate e chiare, belle in piano, tutte in fila: le parole giuste per dire cose vere.
È proprio così.
Con questo piccolo libro tra le mie mani, ho ripensato a tante narrazioni professionali, vicende che mi sono state raccontate negli anni, e ho compreso meglio questa mia passione per il lavoro degli altri. Ho chiarito meglio a me stessa le ragioni profonde di questa mia sentita preoccupazione nel voler aiutare le persone a ricercare il senso migliore al proprio stare nelle aziende, a trovare dunque nel proprio lavoro una convinzione, una speranza, a volte anche un riscatto. Insomma: un proprio benessere, così necessario per il ben- vivere e il successo delle organizzazioni stesse.
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