I miei pensieri

Compito del manager, successo aziendale e il benessere
Il compito principale del manager -e comunque di chi è responsabile uffici, reparti o settori produttivi- è che il lavoro diventi occasione di apprendimento per se stessi e per i propri colleghi e collaboratori, in modo che i lavoratori si sentano autorizzati a fornire proposte di miglioramento per l’ organizzazione del proprio lavoro.

Il successo aziendale e il benessere sul lavoro dovrebbero essere complementari.

In un certo senso, imparare a lavorare è un po’ imparare a vivere. Noi impariamo più facilmente dalle persone che vogliono il nostro bene, alle quali vogliamo bene. Spesso mi chiedo quali legami creiamo nella vita professionale, se sappiamo desiderare il benessere collettivo, che indubbiamente comprende quello personale.

Hard e soft in azienda
Alcuni elementi del lavoro fanno parte dell’area hard:

Contesto
Macchinari
Mansionari
Piani di lavoro
Attività svolte
Obiettivi quantitativi
Scarti ed errori
Interlocutori interni ed esterni

Alcuni elementi del lavoro fanno parte dell’area soft:

Interpretazione del ruolo
Delega e responsabilità individuale
Problemi e dubbi
Gioie e dolori
Aspirazioni
Timori e speranze
Sentimenti ed emozioni
Socialità

Quando l’apprendimento mette al centro le competenze, oltre all’area hard si considera anche l’area relazionale, soft. La formazione che pone al centro il benessere per ben lavorare aiuta a attribuire valore a entrambe le parti e tende a dare dignità all’ individuo intero.

 

 

 

Il modello benessere per ben lavorare riassunto in 6 punti
Con benenessere per ben lavorare© si punta a :

  1. valorizzare le esperienze degli abitanti dell’ organizzazione
  2. condividere i vissuti
  3. tradurre le conoscenze, i saperi e le esperienze in competenze
  4. socializzare i saperi espliciti e a fare emergere quelli taciti
  5. stimolare all’apprendimento anche dall’esterno
  6. elaborare bilanci culturali: cosa abbiamo imparato che ci possa preparare per il futuro?
Metafore per comprendere le organizzazioni
Con le metafore si dice una cosa per dirne un’ altra. Si attiva una parte del nostro pensiero che spesso trascuriamo. Il pensiero per associazioni di idee, dell’ intuizione creativa. D’altronde non è una novità l’uso delle metafore per definire una organizzazione. Negli anni 50, ma forse anche negli anni ‘80, si preferivano riferimenti meccanici (tipico l’orologio: simbolo di precisione, prevedibilità e puntualità ) mentre oggi sempre più spesso appaiono metafore “viventi” (animali, piante, mostri …) a significare il passaggio da concezioni di realtà meccaniche a esseri viventi, pulsanti, pluricellulari, relazionali…). Alla domanda: “che cosa è per me la mia Organizzazione, come me la rappresento?”, recentemente ho ottenuto le risposte più originali: un sandwich, un ponte fatto di corde un po’ traballante, una nave con tanti buchi rattoppati, un’orchestra, perfino un elefante con i pattini. Ogni rappresentazione racchiude in sé un tesoro, un punto da cui partire per fare una prima conoscenza, anzi direi una “nuova” conoscenza della propria organizzazione. Per porsi domande in modo originale, anche per alleggerire.
Ostilità e conflitti: tre domande e qualche riflessione
Quali sono le principali cause che generano ostilità nelle relazioni interpersonali?

Scarsa autostima e invidia sono elementi che portano a intolleranza, scarsa fiducia in sé e negli altri, e dunque una certa dose di malevolenza. Ma vorrei aggiungere che anche infanzie non amate, facilmente portano a recriminazioni, chiusura e paura.

Poi, è chiaro, una differenza di valori, di priorità nelle scelte della propria vita e/o nel quotidiano, possono portare a conflitti, ma questi possono esser gestiti bene, se c’è un giusto equilibrio interiore, se si respira benessere, soddisfazione per la propria vita.

 

Che cosa contribuisce a far evolvere in chiave distruttiva, i conflitti ?

Oltre alla mancanza di fiducia in sé e negli altri, la mancanza di creatività e di strumenti per favorirla. La pigrizia mentale tende alla ripetitività di pensieri e azioni e conduce in vicoli ciechi, e dunque non facilita la scoperta di strade alternative.

 

Che cosa invece rende gestibile e costruttivo il conflitto?

L’ amore per la vita, e la consapevolezza dell’ impermanenza. E poi, certo, una visione complessa degli accadimenti, il sentirsi co-responsabili del futuro e una conoscenza più approfondita delle dinamiche interpersonali, possono aiutare.

Il senso della leggerezza in formazione
Togliere peso. Togliere quella pesantezza che rende le persone immobili sotto l’ onere di un’ organizzazione “pesante”. Dico pesante. Io la vorrei pensante. Questione di una “n” in più o in meno. Giocare con le parole, con le frasi… è magnifico vedere come anche gli adulti si rilassano – almeno un po’- se percepiscono il sapore della leggerezza. Che non è superficialità. Ci tengo a questo distinguo. Oltre alle metafore esistono altre modalità per risvegliare il pensiero in modo utile oltre che divertente: esercitazioni e giochi relazionali, lavori di gruppo… situazioni protette in cui le persone si rimettono in gioco, prendono gusto alla sorpresa, alla riscoperta di sé e dell’altro . Per spiegarmi meglio, riporto alcune frasi di persone che hanno provato queste esperienze : “ho scoperto lati dei miei colleghi che non avrei mai pensato”; “ci siamo divertiti, e anche perdonati”; “Ora sono più a mio agio, sento di poter dire quello che penso senza sentirmi subito giudicata”; “mi pare che siamo tutti più attenti…” …. e a questo si arriva senza gravità, ma con leggerezza, appunto. La leggerezza è quella condizione che permette di osare senza sentirsi stupidi o inadeguati. E’ quel clima che consente l’ errore e la ricomposizione. Per usare le parole di Italo Calvino: la leggerezza come reazione al peso del vivere favorisce un’ umanità poco giudicante, piuttosto accogliente …
La consapevolezza migliora le organizzazioni?
Facciamo un po’ di conti: considerando che nessuno fa miracoli, ma che le persone hanno ancora ciascuno in sé il germe della speranza, che ciascuno di noi è naturalmente teso al proprio benessere… Sì: una maggior consapevolezza di sé, dei propri atteggiamenti e stili comportamentali sono le basi per rivitalizzare le organizzazioni, per renderle meno vinte, più vitali. Mi pare di averlo già detto, ma lo ripeto volentieri perché accade, perché è vero: le persone se messe in condizione di “ripensarsi”, se ne hanno il tempo, se sono ascoltate, se quello che propongono viene accolto… allora a un certo punto c’è uno “sblocco”, che non è un miracolo. E’ qualche cosa di naturale, di connaturato in ognuno, anche se spesso è relegato in un cantuccio ben nascosto dentro di noi: succede che le persone cominciano ad interrogarsi, a riprogettarsi, a proporre a se stesse prima che ad altri comportamenti e prassi più collaborative, si responsabilizzano, insomma… cambiano. Riflessioni sui diversi ruoli e modelli organizzativi consentono approfondimenti con ricadute operative anche sulla struttura del lavoro, sulla rilettura di compiti di ruolo, sugli stili di leadership, sulla conduzione delle riunioni, sul lavorare per progetti … Ma dopo: solo dopo che le persone si sono riconosciute “persone reciprocamente degne” – se posso dire così – ha senso parlare di “struttura organizzativa” come di un qualche cosa che connette utilmente le parti, che aiuta, e perché no, che guida. Sono i diretti interessati a proporre nuove modalità relazionali e originali prospettive organizzative più adatte alla loro vita lavorativa.
Con ardente pazienza
Il mio compito principale in qualità di consulente è seminare dubbi tra le certezze, facilitare il percorso fornendo stimoli e schemi interpretativi per ricercare nuovi significati e proposte in una concezione di formazione, ricerca e intervento che si alimenta continuamente dei vissuti e delle nuove esperienze dei partecipanti.

A parer mio, è in questo modo che un’ Organizzazione autenticamente impara e consolida nel tempo l’ appreso. Sperimenta nuovi comportamenti relazionali ed organizzativi proposti dalle medesime persone che ci lavorano e si trasforma rigenerandosi, diventando a sua volta risorsa. L’ organizzazione che impara da se stessa è vincente. Ma ci vuole un po’ di fiducia, un po’ di tempo, e, per chiudere con le parole della poetessa Martha Medeiros, ci vuole anche un po’ di “ardente pazienza”.

Restiamo unici senza paura
“Ma se poi metto in pratica comportamenti più collaborativi, che oggi non mi vengono naturali , rischio di perdere la mia spontaneità, e io non voglio”. A questa osservazione mi è facile argomentare che, come ogni abitudine, anche il relazionarsi nel mio modo che considero naturale, è frutto di apprendimento. Ricordiamo quando abbiamo imparato ad allacciarci le scarpe, avvolgere gli spaghetti sulla forchetta, guidare la macchina? Giorno per giorno assimiliamo, a volte anche con vero impegno, ciò che ci rende la vita meno ostile, possibilmente piacevole, a volte comoda.

Perché non imparare oggi a gestire con maggiore armonia le relazioni, senza avere paura di modificare alcune “brutte” abitudini, poco congeniali al ben vivere? Tante altre resteranno immutate! È evidente poi che ciascuno metterà nella propria cassetta degli attrezzi gli strumenti relazionali più congeniali per sé, tralasciandone altri, nella consapevolezza che nel tempo li reinterpreterà, riadatterà e ritaglierà a sua misura, secondo la propria personale ricerca. Vorrei chiarire bene: con la formazione benessere per ben lavorare , le persone diventano più consapevoli , responsabili dei propri saperi, emozioni e comportamenti. Poi ognuno decide cosa scegliere, proseguendo nella scoperta di sé e forse di un mondo che pian piano si disvelerà in parte diverso, e forse migliore. Magari ci accompagnerà un po’ di trepidazione, ma senza paura.

Contatti
Per contattarmi potete scrivermi. Io rispondo a tutte, ma proprio a tutte le mail che ricevo per lavoro.

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